venerdì 12 giugno 2009

CONSUMA LIBERO DA SCORIE

E' ora, è ora, è ora di pensare a quello che mettiamo in busta.

La spesa che facciamo quotidianamente e che pensiamo sia un gesto semplice e ininfluente in realtà ha ripercussioni da una parte all' altra del globo.

Mi permetto di segnalare 10 piccoli passi per cercare di diminuire finanche azzerare i rifiuti che con il loro incenerimento sono causa di malattie, vedi cancro, per milioni di persone.

UN PASSO ALLA VOLTA E LA TERRA CONTINUERA' A RESPIRARE :

1) Portare sembre dietro una borsa di tela per riporre la spesa.

2) Evitare prodotti inutili come bevande, acqua in bottiglia, patatine fritte.

3) Preferire i prodotti sfusi, facendo pressione sui rivenditori affinchè mettano a disposizione sacchetti di carta o Mater-bi.

4) Evitare prodotti monodose che spesso hanno un rapporto assurdo fra imballaggio e contenuto.

5) Preparare in casa tutto ciò che è possibile ( yogurt, conserve, marmellate, merende).

6) Cucinare di più per evitare gli imballaggi dei prodotti pronti.

7) Spingere i supermercati a predisporre distributori che vendono in maniera sfusa tutto il possibile.

8) Scegliere i prodotti solidi in confezioni leggere, possibilmente di carta.

9) Prediligere i liquidi e i prodotti umidi in contenitori di vetro o con vuoto a rendere. In subordine il Tetra Pack e l' acciaio. Come successive scelte l' alluminio e la plastica.

10) Fare attenzione ai simboli sulle etichette.

Se non ci avevete mai pensato prima, ora è noto .
Un consumatore critico è un consumatore felice.

La situazione di degrado che ha visto come protagonista una della più belle regioni della nostra penisola, la Campania, qualche mese fa potrebbe ripetersi anche qui vicino a noi.

Ricordiamo queste semplici regole per vivere meglio su questa terra.



Non mi resta che augurare buona spesa !

lunedì 8 giugno 2009

SOCIETA' PETROLIFERE: QUANDO IL DIRITTO UMANO VIENE SOPRAVARICATO DAGLI INTERESSI DEL DENARO


Shell finisce davanti al tribunale per l'omicidio di nove militanti Ogoni in Nigeria nel '95.
C'è poi il caso di Chevron-Texaco. L'industria estrattiva per sopravvivere deve agire con la massima responsabilità ambientale e sociale, spiega il World Resources Institute.
Ma anche la nostra Eni, a giudicare da quello che sta facendo in Congo, pare non averlo capito.


Tra le vittime del petrolio non solo il clima e l’ambiente, ma, in alcuni casi, anche i diritti umani. A ricordarcelo in queste settimane è un processo che riporta all’attualità una delle storie simbolo della rapina dei grandi del petrolio ai danni dei popoli del terzo mondo.


Davanti al tribunale
federale di New York, la Shell dovrà rispondere di complicità nell’omicidio dello scrittore nigeriano Ken Saro Wiwa e di altri otto militanti del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni.
Una storia di terrorismo di Stato che si colloca nel contesto del duro conflitto tra gli Ogoni, il Governo nigeriano, Shell e Chevron (storia ben ben documentata nei report di Human Rights Watch). Gli Ogoni, nel ventennio successivo alle prime scoperte petrolifere fatte nei loro territori (1957), nel sud-est del delta del Niger, erano stati cacciati d’autorità dalle loro terre, poi devastate dall’attività estrattiva, senza alcuna compensazione se non quella, irrisoria, pari al valore dei raccolti delle terre che coltivavano.
La fase più accesa dello scontro era iniziata nel ’92 quando le azioni del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, che chiedeva compensazioni per 10 miliardi di dollari, si erano rivolte direttamente alle strutture delle multinazionali, riuscendo a danneggiare significativamente le aziende. La risposta del Governo fu una dura politica repressiva, con leggi liberticide, blitz nei villaggi Ogoni, torture e una serie di omicidi e di esecuzioni, tra le quali, nel ‘95, quelle per cui ora Shell deve rispondere per complicità, dato che – sostiene l’accusa – l’azienda sarebbe stata mandante e finanziatrice delle azioni.
L’impiccagione di Ken Saro Wiwa e compagni all’epoca aveva suscitato grande indignazione a livello internazionale, ma solo la settimana scorsa la vicenda è arrivata davanti a un tribunale (le prossime sedute si svolgeranno questa settimana). Sulla base di due leggi americane, l’Alien Tort Statute e la Legge per la Protezione delle Vittime della Tortura, che consentono ai cittadini stranieri di denunciare negli Usa violazioni dei diritti umani compiute in altri paesi, infatti, ci si è potuti rivolgere alla giustizia statunitense. Ora un’eventuale condanna di Shell – ritenuta probabile – sarebbe un precedente importante: significherebbe che le multinazionali che operano o sono di base negli Usa, possono essere ritenute responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse all'estero.
Un passo avanti verso la fine dell’impunità delle grandi compagnie, dunque, che si sposa con la tesi sostenuta dal World Resource Insitute nel loro ultimo rapporto in propostito, “Engaging Communities in Extractive and Infrastructure Projects”. Secondo il WRI la sopravvivenza delle industrie estrattive oggi non può più prescindere dall’adempimento delle proprie responsabilità in campo ambientale e sociale: ONG attive, governi più attenti e un’opinione pubblica più sensibile renderebbero impossibile ‘farla franca’.
Gli esempi di multinazionali inchiodate alle loro responsabilità non mancano: Chevron rischia di dover pagare fino a 16 miliardi di dollari di risarcimento alle popolazioni dell’Equador per quella che è stata definita “la Chernobil dell’Amazzonia”, un massiccio inquinamento dovuto alla precedente gestione dei giacimenti da parte di Texaco (acquisita da Chevron nel 2001) che avrebbe causato migliaia di morti per malattie correlate. Anche quando le eventuali illegalità non arrivino davanti ad un tribunale, sottolinea il WRI, la responsabilità sociale di un’azienda sta diventando sempre più importante anche per gli investitori.
Considerazioni su cui anche i vertici dell'Eni dovrebbero riflettere. L’azienda, che, con il Ministero delle Finanza e la Cassa Depositi e Prestiti tra gli azionisti principali, è il quinto gruppo petrolifero mondiale per giro d'affari, in Congo, starebbe portando avanti una politica quantomeno dubbia in quanto a responsabilità ambientale e sociale. Nel giacimento di M’boundi la vita delle popolazioni locali è rovinata dall’inquinamento causato dalle attività estrattive: in particolare la pratica del gas flaring (ossia del bruciare a cielo aperto il gas naturale che esce dai pozzi petroliferi) causa malattie respiratorie, piogge acide e inquinamento delle acque. Eni ora si starebbe si impegnando per ridurre il gas flaring, realizzando in loco una centrale termolettrica a gas, ma - denuncia Altreconomia - la centrale si inserirebbe in un progetto ancora più devastante a livello ambientale. Dall'impianto – che soddisferebbe i fabbisogni elettrici dell’azienda stessa - si vorrebbe ricavare energia a buon mercato per uno dei modi di ottenere il petrolio più inefficienti e inquinanti: lo sfruttamento delle sabbie bituminose.
L’azienda infatti ha acquistato per 4 miliardi di dollari dal Governo congolese una concessione ad esplorare il petrolio mescolato alla sabbia di una zona di foresta vasta come diverse province italiane. Già ora le popolazioni della zona avrebbero subito danni dalle esplorazioni, condotte senza alcuna consultazione delle comunità locali. Se il progetto di sfruttamento delle sabbie bituminose proseguisse si andrebbe verso un disastro ambientale: deforestazione e miniere a cielo aperto intervallate da laghi di scarti tossici. Tutto per ottenere greggio di scarsa qualità la cui estrazione genera (secondo l’ONG inglese Platform) dalle 3 alle 5 volte più emissioni rispetto a quella del petrolio dai pozzi e che diventa economicamente conveniente solo con prezzi del barile superiori ai 100 dollari. Una strategia, dunque, che non sembra affatto guidata dalla responsabilità ambientale come consiglia il WRI.


Fonte: Qualenergia

giovedì 4 giugno 2009

VOGLIONO IMBAVAGLIARE L' INFORMAZIONE INTERNET

Questione di Democrazia

Ieri nel voto finale al Senato che ha approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza (disegno di legge 733), tra gli altri provvedimenti, con un emendamento del senatore Gianpiero D’Alia (UDC), è stato introdotto l‘articolo 50-bis, “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet“. Il testo la prossima settimana approderà alla Camera. E nel testo approdato alla Camera l’articolo è diventato il nr. 60.

In pratica se un qualunque cittadino che magari scrive un blog dovesse invitare a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, i provider dovranno bloccarlo. Questo provvedimento può obbligare i provider a oscurare un sito ovunque si trovi, anche se all’estero. Il Ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l’interruzione della attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L’attività di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000 per i provider e il carcere per i blogger da 1 a 5 anni per l’istigazione a delinquere e per l’apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’odio fra le classi sociali. Immaginate come potrebbero essere ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la Casta con questa legge?

Si stanno dotando delle armi per bloccare in Italia Facebook, Youtube, il blog di Beppe Grillo e tutta l’ informazione libera che viaggia in rete e che nel nostro Paese è ormai l’unica fonte informativa non censurata. Vi ricordo che il nostro è l’ unico Paese al mondo, dove una media company, Mediaset, ha chiesto 500 milioni di risarcimento a YouTube. Vi rendete conto? Quindi il Governo interviene per l’ennesima volta, in una materia che vede un’impresa del presidente del Consiglio in conflitto giudiziario e d’interessi.

Dopo la proposta di legge Cassinelli e l’istituzione di una commissione contro la pirateria digitale e multimediale che tra poco meno di 60 giorni dovrà presentare al Parlamento un testo di legge su questa materia, questo emendamento al “pacchetto sicurezza” di fatto rende esplicito il progetto del Governo di “normalizzare” il fenomeno che intorno ad internet sta facendo crescere un sistema di relazioni e informazioni sempre più capillari che non si riesce a dominare.

Obama ha vinto le elezioni grazie ad internet? Chi non può farlo pensa bene di censurarlo e di far diventare l’Italia come la Cina e la Birmania.

Oggi gli unici media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati Beppe Grillo http:\\www.beppegrillo.it dalle colonne del suo blog e la rivista specializzata Punto Informatico http://punto-informatico.it/ .

Fate girare questa notizia il più possibile.

E’ ora di svegliare le coscienze addormentate degli italiani.

E’ in gioco davvero la democrazia.