Quello che sta accadendo a Senigallia è il frutto di un
pervicace rifiuto ad un progetto pubblico dell’uso della
città e del territorio.
E’ quello che avviene quando la visione ed il futuro di
una città viene affidato, in modo totale, alla crescita
di una economia basata esclusivamente sulla rendita
fondiaria-immobiliare e dove la ricchezza (per pochi)
nasce dall’assalto di un bene(il territorio) che è di tutti,
con differenza stratosferiche tra il valore investito ed
il valore realizzato. E’ giocoforza che, con una visione esclusivamente
economicistica dell’urbanistica, poi il risultato sia
lo scombussolamento urbanistico, l’aggressione al
territorio e,non ultimo, il disagio dei cittadini. L’edificazione al parco della Cesanella è l’attacco, nemmeno tanto velato,agli spazi pubblici e agli usi pubblici della città L’erosione degli spazi pubblici
ormai ha raggiunto la velocità di una smottamento.
Avevamo già avuto modo di vederlo nel Piano del
Centro Storico dove una Piazza è stata individuata
come sedime fabbricabile (magari con una spolveratina
di social housing. Da dare ai privati?) e con un nobile
palazzo già in odore di mini-appartamenti, l’abbiamo visto con la Variante del Lungomare dove aree
demaniali debbono fare da corredo ad un intervento
privato di edilizia per alto censo e fitness,l’abbiamo
visto con lo Stadio Comunale dove , per reperire
parcheggi mai richiesti ai privati che si sono dilettati
in centinaia di appartamenti nell’intorno, si è dovuto
sacrificare il campo di allenamento e lo si è visto anche nella Variante Arceviese strizzando l’occhio al nuovo
mercato del terziario avanzato . Anche qui, come oggi, a dire che la parte fabbricabile
era già stata assegnata in tempi lontani. Beh, qui va a finire che anche per il pubblico i “diritti edificatori”
vengono idolatrati come “l’idolum fori” al pari dei privati.
I diritti edificatori sono quella bizzarra teoria
(su cui la Cassazione più volte si è espressa)
secondo la quale quando si è attribuita una capacità
edificatoria ad un’area, poi questo gentile “cadeau”
non può essere tolto al proprietario ( è l’esaltazione
della rendita parassitaria più che del profitto.
E pensare che il vincolo per pubblica utilità decade
dopo soli cinque anni!)). L’amministrazione può fare ricorso, beninteso,
a questo disinvolto uso di “diritti”, ma almeno
la smetta di cianciare sulla “rottura col passato”,
su “new-deal urbanistico”, su nuova attenzione all’ambiente. Si è dato inizio ad uno sciagurato e aberrante
meccanismo di fare fronte alle ristrettezze contingenti
di bilancio ed alle spese correnti sacrificando il territorio , ritenuto un valore secondario, e tra l’altro senza nessuno
obbligo (come prevedeva la Legge 10/77) di re-investire
su di esso. Questo processo infernale ha portato addirittura,
nel caso dell’area di San Gaudenzio, a trattare un
vincolo ricognitivo (cioè valore di bene per sua
intrinseca natura) con la sufficienza di un semplice
vincolo “funzionale o urbanistico”, sempre per ragioni di cassa. Questi ultimi otto-nove anni hanno visto esaltarsi
a ritmi vertiginosi il consumo del suolo favorendo
da un lato l’espansione urbana e dall’altro l’espulsione
dalla città di una larga fetta di senigalliesi, che si sono
dirottati sui paesi limitrofi ( Passo Ripe, Casine e
Pianello di Ostra, Ponte Rio, Marina di Montemarciano).
C’è di che domandarsi perché l’edilizia senigalliese
(che non conosce crisi) non è per i senigalliesi.
l consumo del suolo ha portato anche “al consumo della mobilità.”, dove ad un inalterato
numero di spostamenti si registra un sensibile aumento
della lunghezza delle percorrenze (all’Assessore Ceresoni
questo dice qualcosa ?). Insomma qui c’è un territorio che viene considerato
non più come un bene ma come una merce, che deve
produrre profitto economico. Però, piccola ma importante notizia, qualcosa
sta muovendosi.
Cresce dal basso una spinta, una resistenza
di base da parte di chi, in comitati, in gruppi,
in associazioni, non ci sta più alle chiacchiere e alle
facili promesse delle lingue biforcute.
Preferisce piuttosto “saltare la finestra che mangiare
la minestra (avariata)”, e considera il territorio,
il paesaggio, il lascito culturale della città come un
“bene comune e un bene primario” da difendere al pari dell’aria, dell’acqua, della luce. Nelle prossime battaglie non si accontenteranno più dei soliti segnali di fumo.
articolo tratto dal sito www.versuscomplanare.com / Ing. Stefano Bernardini
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